Il tema della cura - di sé, degli altri, delle cose, dell'arte - ha una lunga tradizione filosofica, di cui questo libro ripercorre le tracce. Da Platone ad Alexander Bogdanov, attraverso Hegel, Heidegger, Bataille e fino a Groys stesso, 'Filosofia della cura' affronta una questione centrale del presente: chi dovrebbe essere il soggetto della cura? Dovrei fare da me o fidarmi degli altri, del sistema, delle istituzioni? In questo pamphlet il concetto di cura di sé diventa un principio rivoluzionario che ci costringe a fare i conti col meccanismo di controllo dominante.

Tentare una definizione filosofica di comunismo, o almeno aggiornarla. Basterebbe questo a decretare l'importanza del libro di Boris Groys, che a tal fine esamina il linguaggio dello stalinismo e i suoi legami con il sistema sovietico dal 1917 fino alla sua autodissoluzione dialettica nel 1989, per poi chiedersi: è possibile che il comunismo riemerga nel XXI secolo? Supporre che il comunismo sovietico sia archiviabile come un'esperienza ormai conclusa significa, secondo Groys, accondiscendere alle peggiori inclinazioni della filosofia della storia, in cui ricadono molte diagnosi epocali della comunicazione contemporanea. Perché, se con comunismo si intende una sorta di 'svolta linguistica' nella prassi sociale, il sogno di produrre rapporti sociali sulla base egualitaria del linguaggio non può che riproporsi nella storia dell'uomo.

In questo importante ultimo libro, Groys mappa i paradossi che risultano da un'arte che non produrrebbe oggetti, ma pratiche (dall'arte della performance all'estetica relazionale) che non sono destinate a sopravvivere, ed esplora l'arte nell'era di un medium etereo qual'è Internet. Groys sostiene che se le tecniche di riproduzione meccanica ci hanno dato oggetti senza aura, la produzione digitale genera aura senza oggetti, trasformando tutti i suoi materiali in marcatori temporanei di un presente transitorio. 'In the Flow traccia il complesso dialogo, attraverso un secolo e più, tra arte e filosofia, la politica e i mass media, il lifestyle, i musei, e, infine, Internet.' (Terry Smith)

The leading art theorist takes on art in the age of the Internet

In the early twentieth century, art and its institutions came under critique from a new democratic and egalitarian spirit. The notion of works of art as sacred objects was decried and subsequently they would be understood merely as things. This meant an attack on realism, as well as on the traditional preservative mission of the museum. Acclaimed art theorist Boris Groys argues this led to the development of “direct realism”: an art that would not produce objects, but practices (from performance art to relational aesthetics) that would not survive. But for more than a century now, every advance in this direction has been quickly followed by new means of preserving art’s distinction.

In this major new work, Groys charts the paradoxes produced by this tension, and explores art in the age of the thingless medium, the Internet. Groys claims that if the techniques of mechanical reproduction gave us objects without aura, digital production generates aura without objects, transforming all its materials into vanishing markers of the transitory present.

Scaturita da un serrato dialogo con Thomas Knoefel, 'Politica dell'immortalità' costituisce l'opera d'arte più autorevole di Boris Groys nella quale si delinea con una grande acutezza la maniera in cui evolvono gli intellettuali e gli artisti nel mondo contemporaneo in cui noi viviamo. Entrare in competizione con i morti, sui terreni dell'arte e del pensiero, è precisamente ciò che chiede loro di fare la dimensione divina del capitalismo, ossia di un capitalismo che come religione sui generis coglie le trasformazioni strutturali ed epocali in atto e meglio di ogni economia politica ufficiale sviluppa una nuova forma di immortalità che implica una riflessione più serrata sulla realtà in cui viviamo e sugli effetti lasciati in eredità alle prossime generazioni.

On the New looks at the economies of exchange and valuation that drive modern culture's key sites: the intellectual marketplace and the archive. As ideas move from one context to another, newness is created. This continuous shifting of the line that separates the valuable from the worthless, culture from profanity, is at the center of Boris Groys's investigation which aims to map the uncharted territory of what constitutes artistic innovation and what processes underpin its recognition and appropriation.

In the 1970s and 1980s, a group of 'unofficial' artists in Moscow --artists not recognized by the state, not covered by state-controlled media, and cut off from wideraudiences -- created artworks that gave artistic form to a certain historical moment: the experienceof Soviet socialism. The Moscow conceptualists not only reflected and analyzed by artistic means aspectacle of Soviet life but also preserved its memory for a future that turned out to be differentfrom the officially predicted one. They captured both the shabby austerity of everyday Soviet lifeand the utopian energy of Soviet culture. In History Becomes Form, Boris Groysoffers a contemporary's account of what he calls the most interesting Russian artistic phenomenonsince the Russian avant-garde.

The book collects Groys's essays on Moscowconceptualism, most of them written after his emigration to the West in 1981. The individual artistsof the group -- including Ilya Kabakov, Lev Rubinstein, and Ivan Chuikov -- became known in the Westafter perestroika, but until now the artistic movement as a whole has received little attention.Groys's account sheds light not only on the Moscow Conceptualists and their work but also on thedilemmas of Soviet artists during the cold war.

Art has its own power in the world, and is as much a force in the power play ofglobal politics today as it once was in the arena of cold war politics. Art, argues thedistinguished theoretician Boris Groys, is hardly a powerless commodity subject to the art market'sfiats of inclusion and exclusion. In Art Power, Groys examines modern andcontemporary art according to its ideological function. Art, Groys writes, is produced and broughtbefore the public in two ways -- as a commodity and as a tool of political propaganda. In thecontemporary art scene, very little attention is paid to the latter function. Arguing for theinclusion of politically motivated art in contemporary art discourse, Groys considers art producedunder totalitarianism, Socialism, and post-Communism. He also considers today's mainstream Westernart -- which he finds behaving more and more according the norms of ideological propaganda: producedand exhibited for the masses at international exhibitions, biennials, and festivals. Contemporaryart, Groys argues, demonstrates its power by appropriating the iconoclastic gestures directedagainst itself -- by positioning itself simultaneously as an image and as a critique of the image.In Art Power, Groys examines this fundamental appropriation that produces theparadoxical object of the modern artwork.

Se tutto al mondo può essere considerato fonte di esperienza estetica, suggerisce Boris Groys, allora l'arte non ha più una posizione privilegiata. Piuttosto, l'arte si frappone tra il soggetto e il mondo, e qualsiasi discorso estetico utilizzato per legittimare l'arte deve anche necessariamente ridimensionarla. Boris Groys ridiscute le chiavi interpretative dell'arte approfondendo alcuni temi già trattati in 'Art Power' e raccogliendo in 'Going Public' alcuni saggi pubblicati su E-flux Journal nei quali cerca di districare le tensioni tipo artista-spettatore e creatore-spettatore, presentando le pratiche artistiche come argomento pubblico, rivolte alla società e non esclusivamente ad un mondo dell'arte vittima di troppa auto-referenzialità.

La filosofia tradizionale, dichiara Boris Groys in questo intenso nuovo lavoro, promette di soddisfare il desiderio di conoscenza. Ma qual è la struttura che connette conoscenza e filosofia entrambe e insieme? Che cosa motiva davvero un progetto filosofico? L'antifilosofia nelle sue varie forme è diretta non contro questa o quella particolare filosofia, ma contro il progetto filosofico in quanto tale. Tale progetto è ora interpretato come sintomo di frustrazione, perdita di vera vitalità e come prodotto di una società ingiusta. Alla domanda perché l'uomo di questo tempo desideri ancora la filosofia non si può più a lungo rispondere con la teoria, ma piuttosto con un appello scaturito dalla vita concreta e con un comando rivolto a se stessi: vivi pericolosamente! Cambia il mondo! Pensa rizomaticamente! E allora, così, tu potrai conoscere. In questo libro Groys trova risposte inaspettate, e in particolare nel Novecento, in Bachtin, Benjamin, Derrida, Heidegger, Junger, Kierkegaard, Kojève, Nietzsche, McLuhan qui convocati per introdurre il lettore all'antifilosofia.

The public generally regards the media with suspicion and distrust. Therefore, the media's primary concern is to regain that trust through the production of sincerity. Advancing the field of media studies in a truly innovative way, Boris Groys focuses on the media's affect of sincerity and its manufacture of trust to appease skeptics.

Groys identifies forms of media sincerity and its effect on politics, culture, society, and conceptions of the self. He relies on different philosophical writings thematizing the gaze of the other, from the theories of Heidegger, Sartre, Mauss, and Bataille to the poststructuralist formulations of Lacan and Derrida. He also considers media 'states of exception' and their creation of effects of sincerity -- a strategy that feeds the media's predilection for the extraordinary and the sensational, further fueling the public's suspicions. Emphasizing the media's production of emotion over the presentation (or lack thereof) of 'facts,' Groys launches a timely study boldly challenging the presumed authenticity of the media's worldview.

Philosophy is traditionally understood as the search for universal truths, and philosophers are supposed to transmit those truths beyond the limits of their own culture. But, today, we have become skeptical about the ability of an individual philosopher to engage in “universal thinking,” so philosophy seems to capitulate in the face of cultural relativism.

In Introduction to Antiphilosophy, Boris Groys argues that modern “antiphilosophy” does not pursue the universality of thought as its goal but proposes in its place the universality of life, material forces, social practices, passions, and experiences—angst, vitality, ecstasy, the gift, revolution, laughter or “profane illumination”—and he analyzes this shift from thought to life and action in the work of thinkers from Kierkegaard to Derrida, from Nietzsche to Benjamin.

Ranging across the history of modern thought, Introduction to Antiphilosophy endeavors to liberate philosophy from the stereotypes that hinder its development.

It is taken for granted in the knowledge economy that companies must employ the most talented performers to compete and succeed. Many firms try to buy stars by luring them away from competitors. But Boris Groysberg shows what an uncertain and disastrous practice this can be.

After examining the careers of more than a thousand star analysts at Wall Street investment banks, and conducting more than two hundred frank interviews, Groysberg comes to a striking conclusion: star analysts who change firms suffer an immediate and lasting decline in performance. Their earlier excellence appears to have depended heavily on their former firms' general and proprietary resources, organizational cultures, networks, and colleagues. There are a few exceptions, such as stars who move with their teams and stars who switch to better firms. Female stars also perform better after changing jobs than their male counterparts do. But most stars who switch firms turn out to be meteors, quickly losing luster in their new settings.

Groysberg also explores how some Wall Street research departments are successfully growing, retaining, and deploying their own stars. Finally, the book examines how its findings apply to many other occupations, from general managers to football players.

Chasing Stars offers profound insights into the fundamental nature of outstanding performance. It also offers practical guidance to individuals on how to manage their careers strategically, and to companies on how to identify, develop, and keep talent.

La gamma di argomenti affrontati in 'Art Power' è impressionante. In saggi e conferenze degli ultimi dieci anni Groys affronta il passaggio del potere dal critico al curatore, la sostituzione dell'opera d'arte con la sua documentazione, il modo in cui i media non confermano la visione di Walter Benjamin di un mondo-specchio di copie ideali ma hanno sepolto il simulacro postmoderno con una profusione di originali. Si tratta di temi già trattati altrove, ma raramente si arriva alle penetranti conclusioni alle quali giunge Groys.

From the ruins of communism, Boris Groys emerges to provoke our interest in the aesthetic goals pursued with such catastrophic consequences by its founders. Interpreting totalitarian art and literature in the context of cultural history, this brilliant essay likens totalitarian aims to the modernists' goal of producing world-transformative art. In this new edition, Groys revisits the debate that the book has stimulated since its first publication.

Text by Boris Groys, Peter Weibel.

It is taken for granted in the knowledge economy that companies must employ the most talented performers to compete and succeed. Many firms try to buy stars by luring them away from competitors. But Boris Groysberg shows what an uncertain and disastrous practice this can be. After examining the careers of more than a thousand star analysts at Wall Street investment banks, and conducting more than two hundred frank interviews, Groysberg comes to a striking conclusion: star analysts who change firms suffer an immediate and lasting decline in performance. Their earlier excellence appears to have depended heavily on their former firms' general and proprietary resources, organizational cultures, networks, and colleagues. There are a few exceptions, such as stars who move with their teams and stars who switch to better firms. Female stars also perform better after changing jobs than their male counterparts do. But most stars who switch firms turn out to be meteors, quickly losing luster in their new settings. Groysberg also explores how some Wall Street research departments are successfully growing, retaining, and deploying their own stars. Finally, the book examines how its findings apply to many other occupations, from general managers to football players.Chasing Stars offers profound insights into the fundamental nature of outstanding performance. It also offers practical guidance to individuals on how to manage their careers strategically, and to companies on how to identify, develop, and keep talent.

Edited by Margriet Schavemaker, Christel Vesters, Ingrid Commandeur, Jelle Bouwhuis, Gijs Frieling.

This book takes an imaginative approach to visual identity.

The appearance of organization---corporations, states, and networks---is a game of legitimacy, and an art of stealth. Partially science-fiction story, equally strategic study, essay, comic, and sketchbook, Uncorporate Identity is a concept album of design and architecture. Design studio Metahaven explores branding and identity as geopolitical phenomena---together with architects, geographers, and thinkers including Boris Groys, China Mieville, Keller Easterling, David Grewal, Marina Vishmidt, and others.

Edited by Maria Hlavajova, Thierry de Duve, Chantal Mouffe, Molly Nesbit, Boris Groys, Michael Hardt, Irit Rogoff.

This new survey covers the rich and varied history of participatory art, from early happenings and performances to current practices that demand audience interaction. As the hallmarks of the internet mindset - browsing, sharing, collecting, producing - increasingly permeate every aspect of society, this timely project reveals the ways in which artists and viewers have approached the creation of open works of art.

'L'inflessibilità di un comunista consiste nell'oscillare allo stesso ritmo della linea del partito' recitava un detto russo dell'epoca di Stalin. Di una tale forma di relativizzazione si è avvalso il leader politico, Stalin in primis, per governare attraverso il linguaggio. Trova così spiegazione uno dei lasciti più controversi, e meno comprensibili per la sensibilità contemporanea, del comunismo sovietico: gli scritti di Stalin sulla linguistica. E - a parte l'ovvia sorpresa di scoprire un 'dittatore totalitario' impegnato in discussioni teoriche sul linguaggio - trova anche spiegazione un'alleanza che possiamo dare per tramontata: quella tra politica e cultura. Tentare una definizione filosofica di comunismo, o almeno aggiornarla: Groys a tal fine esamina il linguaggio dello stalinismo e i suoi legami con il sistema sovietico dal 1917 fino alla sua autodissoluzione dialettica nel 1989; e, infine, si chiede: è possibile che il comunismo riemerga nel XXI secolo? Supporre che il comunismo sovietico sia archiviabile come un'esperienza ormai conclusa significa, secondo Groys, accondiscendere alle peggiori inclinazioni della filosofia della storia (in cui ricadono molte diagnosi epocali della comunicazione contemporanea). Perché se con comunismo si intende una sorta di 'svolta linguistica' nella prassi sociale, il sogno di produrre rapporti sociali sulla base egualitaria del linguaggio non può non riproporsi nella storia dell'uomo.

L'inflessibilità di un comunista consiste nell'oscillare allo stesso ritmo della linea del partito recitava un detto russo dell'epoca di Stalin. Di una tale forma di relativizzazione si è avvalso il leader politico, Stalin in primis, per governare attraverso il linguaggio. Trova così spiegazione uno dei lasciti più controversi, e meno comprensibili per la sensibilità contemporanea, del comunismo sovietico: gli scritti di Stalin sulla linguistica. E - a parte l'ovvia sorpresa di scoprire un 'dittatore totalitario' impegnato in discussioni teoriche sul linguaggio - trova anche spiegazione un'alleanza che possiamo dare per tramontata: quella tra politica e cultura. Tentare una definizione filosofica di comunismo, o almeno aggiornarla: Groys a tal fine esamina il linguaggio dello stalinismo e i suoi legami con il sistema sovietico dal 1917 fino alla sua autodissoluzione dialettica nel 1989; e, infine, si chiede: è possibile che il comunismo riemerga nel XXI secolo? Supporre che il comunismo sovietico sia archiviabile come un'esperienza ormai conclusa significa, secondo Groys, accondiscendere alle peggiori inclinazioni della filosofia della storia (in cui ricadono molte diagnosi epocali della comunicazione contemporanea). Perché se con comunismo si intende una sorta di 'svolta linguistica' nella prassi sociale, il sogno di produrre rapporti sociali sulla base egualitaria del linguaggio non può non riproporsi nella storia dell'uomo.