Forse i nostri antenati riuscivano a sentire in anticipo i predatori cominciando a sfregare pietre, legni, metalli preziosi per allontanarli. Pierluigi Migliazza è come se sfregasse una grattugia di metallo sulla corteccia cerebrale, in apparenza per allontanare affettività, ricordi, dannazioni, in realtà per intercettare tutto ciò che dovrebbe ancora risiedere in un posto centrale di questa scena misofonica dove anche un piccolo rumore può urtare pesantemente la nostra sensibilità portandoci nel luogo più protetto dell'amore o della follia. Mi piace immaginare Pier mentre mangiucchia la mina di una matita per migliorare la propria digestione, intento a masticare Optalidon come rosicchiando ossa di belve feroci, accendersi una sigaretta nella stellata mai nata della savana. Forse i nostri antenati custodivano un fuoco per sentire in anticipo la notte. La poesia di Migliazza invece non custodisce un fuoco, ma lo prepara senza scatenare incendi e incidenti. È un fuoco per sopravvivere alla tavola di convitati assenti con un regalo in mano. Andrea De Alberti