Intrecciando storia materiale e folklorica, analisi della cultura "non ufficiale", antropologia e psicoanalisi, questo volume apre un'interessante prospettiva sul ruolo e sulla funzione del riso nella letteratura castigliana medievale. La sovversione rappresentata dal comico, e più in generale dalla festa, definisce non solo l'utopia di un mondo rovesciato, ma anche le modalità di gestione della paura, le ambivalenze del potere, il sogno di un'eguaglianza sociale storicamente negata.

La vita è imprevedibile e il caos mischia le carte in modo così straordinario da rendere difficile per chiunque riuscire a riordinarle: depressione, amori malati, droga, alcol, possono diventare delle trappole in cui il proprio Io si annulla completamente. Eppure proprio quando la protagonista decide di farla finita perché non trova più una ragione per vivere, proprio nella clinica privata dove si trova a trascorrere, in regime di reclusione, un periodo indefinito della sua vita, tra terapia e trattamenti farmacologici, scopre di sentirsi stranamente libera. Le emozioni tornano a esplodere nel suo cuore nel momento in cui accetta di essere una "senza pelle", incontrando la sofferenza di tanti che come lei stanno cercando di emergere da questo mare oscuro e profondo, e usa la scrittura come laboratorio terapeutico che riesce a mettere in comunicazione gli animi, dà voce al dolore e apre un canale attraverso il quale anche gli individui più tormentati hanno, finalmente, la parola e una strada per sentirsi vivi e continuare a lottare.

Dopo anni di esilio volontario, tre giovani si ritrovano in occasione del funerale di un amico comune. Gli adolescenti di un tempo si sono trasformati in sconosciuti, ognuno con un segreto a divorargli l'anima. Vittime di un destino senza futuro, imprigionati in quella provincia bene dove ancora oggi le classi sociali contano e ancora di più contano le apparenze.