Il poeta scrive nell'eterna lotta tra la bellezza disarmante della parola e la sua altrettanto disarmante inutilità. È il silenzio il suo più fedele compagno di viaggio. E del primato del silenzio è consapevole il poeta. Sa bene che poesia altro non è che un omaggio del silenzio alla parola. Ma qual è il momento, l'ora della poesia? Qual è il suo tempo? Forse quello della notte, amplificatore naturale di ogni sentire: 'ciò che non odo di giorno di notte è tutto un rumore stanco'. O quello dell'attesa, di quell'attimo in cui 'il nulla d'improvviso trabocca'. Oppure quello della lotta, 'del garbuglio', nel mezzo del quale la parola viene tradita: 'corro e finisco per somigliare alle cose, alle persone, alle automobili'. Eppure, più di ogni cosa, la poesia, figlia di quel silenzio, di quel vuoto, 'dell'inutile affanno di ciò che non diviene', è la 'ballerina lieve', il 'fuscello innervato nella tempesta', colei che ti tende la mano per portarti via, fuori dal tempo in cui ha preso la forma.
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