'La coscienza è ciò che rende il problema mente-corpo davvero intrattabile.' Inizia così il classico saggio di Thomas Nagel del 1974 Cosa si prova a essere un pipistrello?. Il testo ha inaugurato l'interesse ormai diffuso nei confronti della coscienza come problema centrale per la filosofia, la psicologia e le neuroscienze; ha anche influenzato il riconoscimento della coscienza delle creature non umane come importante oggetto di studio. Nagel sosteneva che l'essenziale soggettività dell'esperienza cosciente - come è per la creatura che la vive - significa che le teorie riduzioniste della mente, che cercano di analizzarla in termini fisici, non potranno mai avere successo. Ne consegue che la concezione fisica della realtà deve essere superata se si vuole che la scienza comprenda la mente. Nel suo 50° anniversario, questa edizione ripropone il testo con una postfazione di Anil Seth e una nuova prefazione dell'autore che discute le origini e l'influenza del libro, oltre a un saggio che presenta le successive riflessioni di Nagel su come rispondere al problema posto da Cosa si prova a essere un pipistrello?

È possibile conciliare la sfera degli interessi personali con quella dei valori collettivi? Di fronte a disuguaglianze economiche e sociali crescenti, è necessario trovare una soluzione. In questo libro, Thomas Nagel tenta di chiarire la natura del conflitto tra individuo e collettività, la cui riconciliazione dev'essere il compito essenziale di qualsiasi sistema politico. La sua proposta è un'originale teoria di convivenza civile, che cerca di conciliare la politica con accettabili modelli di moralità, condizioni necessarie per l'uguaglianza e la giustizia sociale. Prefazione di Ian Carter.

Ciò che vediamo, capiamo, viviamo non è mai svincolato dalla peculiare percezione «coscientizzata» che ci isola nella nostra specificità di individui e di esseri umani. Così per tutti, pipistrelli compresi. Ecco allora che a partire da una domanda semplice e apparentemente ingenua si spalanca tutto un ampio panorama di grandi questioni filosofiche, che in un irresistibile crescendo conducono il pensatore dal problema del rapporto soggetto-mondo e mente-corpo a un'interrogazione sulle possibilità e i limiti della scienza e di una conoscenza oggettiva in generale, fino alla prospettiva di un linguaggio a venire che permetta di aprire un varco tra i tanti vicoli ciechi in cui sembriamo destinati ad arenarci.

Lo sguardo da nessun luogo è il lavoro di maggiore ambizione fondativa nella riflessione di Nagel, dove cruciali interrogativi etici emergono a partire da una discussione sullo statuto della soggettività. Numerosi problemi di condotta e valutazione derivano infatti dalla tensione fra le pretese di un punto di vista impersonale e oggettivo (esterno) che possiamo adottare su noi e sul mondo, e le pretese di un punto di vista personale e soggettivo (interno). Questa apparente aporia si profila nelle pagine di Nagel come una dualità epistemica inderogabile, alla cui luce l'autore riesamina i temi tradizionali della libertà, del valore, dell'azione giusta e della vita buona.

Se la coscienza non può essere spiegata dalla fisica e dalla biologia nella loro forma attuale, e se la mente è un prodotto dell'evoluzione biologica, 'allora', afferma Nagel,'la biologia non può essere una scienza puramente fisica'. Convinto del fallimento della concezione materialistica della natura, che non spiega i tratti fondamentali del nostro mondo connessi con la mente (coscienza, intenzionalità, significato, valori), Nagel sostiene la necessità di rileggere l'intera storia dell'evoluzione assumendo la centralità dei fenomeni mentali e coscienti, governati da principi che, nella loro forma logica, sarebbero teleologici piuttosto che meccanicistici. La visione riduzionistica del mondo, che pone la materia a fondamento di tutta la realtà, è ancora molto diffusa. Riconoscerne i limiti - è questo il senso della proposta di Nagel - rappresenta il primo passo nella ricerca di possibili alternative.

'Questioni mortali' raccoglie gli interventi più incisivi di Thomas Nagel- uno dei massimi esponenti della filosofia analitica statunitense - sui dilemmi fondamentali che interessano il senso, la natura e il valore dell'esistenza umana. La gamma dei temi affrontati è ampia e ricca di implicazioni concrete: dalla vita privata a quella pubblica; dai grandi quesiti di metafisica, filosofia della mente e teoria della conoscenza ai rapporti tra biologia e etica; dai nostri atteggiamenti nei confronti della morte e dei comportamenti sessuali fino all'ingiustizia sociale, alla guerra e al potere. Filo conduttore del pensiero di Nagel è il continuo riemergere delle domande di fondo sul valore, il significato, il fine e la fine della vita mortale. Interrogativi affascinanti e insieme angoscianti, a cui è impossibile rispondere in maniera univoca, se non cadendo nell'illusione o nell'indifferenza. Come argomenta il noto saggio 'Che effetto fa essere un pipistrello?', le teorie materialiste sul funzionamento del pensiero umano trascurano l'elemento della coscienza: la percezione della nostra realtà di essere umani. Gran parte delle difficoltà che incontriamo in vita dipende da una concezione limitata o erronea dell'identità e della libertà personali. Discutendo impostazioni etiche differenti, questi saggi propongono di incorporare i risultati teorici della ricerca filosofica nel contesto della conoscenza di sé.

'Con chiarezza e accessibilità, Thomas Nagel illustra e interpreta secondo la propria visione gli argomenti fondamentali della filosofia: la conoscenza, il rapporto mente-corpo, il linguaggio, il libero arbitrio, il confine tra giusto e sbagliato, la morte, il significato della vita. I problemi su cui si sono arrovellati i pensatori nei secoli vengono affrontati non a partire dalle teorie e dagli assunti dei grandi maestri, ma riflettendoci a fondo, facendo filosofia nel modo più diretto.' (dalla pefazione di Salvatore Veca)

Le teorie di taglio materialista sul funzionamento e le modalità dell'esperienza sembrano inesorabilmente destinate a trascurare la componente essenziale della coscienza, elemento per definizione mobile, originario, inafferrabile e irriducibile, che tuttavia caratterizza e delinea il nostro mondo percettivo, guida l'esperienza e la rende ciò che è. Ciò che noi vediamo, capiamo, viviamo, non è mai svincolato dalla peculiare percezione 'coscientizzata' che ci isola nella nostra specificità di individui e di esseri umani. Così per tutti, pipistrelli compresi. Picco allora che a partire da una domanda semplice e apparentemente ingenua si spalanca tutto un ampio panorama di grandi questioni filosofiche, che in un irresistibile crescendo conducono il pensatore dal problema del rapporto soggetto-mondo e mente-corpo a un'interrogazione sulle possibilità e i limiti della scienza e di una conoscenza oggettiva in generale, fino alla prospettiva di un linguaggio a venire che permetta di aprire un varco tra i tanti vicoli ciechi in cui sembriamo destinati ad arenarci.

John Rawls never published anything about his own religious beliefs, but after his death two texts were discovered which shed extraordinary light on the subject. A Brief Inquiry into the Meaning of Sin and Faith is Rawls’s undergraduate senior thesis, submitted in December 1942, just before he entered the army. At that time Rawls was deeply religious; the thesis is a significant work of theological ethics, of interest both in itself and because of its relation to his mature writings. “On My Religion,” a short statement drafted in 1997, describes the history of his religious beliefs and attitudes toward religion, including his abandonment of orthodoxy during World War II.

The present volume includes these two texts, together with an Introduction by Joshua Cohen and Thomas Nagel, which discusses their relation to Rawls’s published work, and an essay by Robert Merrihew Adams, which places the thesis in its theological context.

The texts display the profound engagement with religion that forms the background of Rawls’s later views on the importance of separating religion and politics. Moreover, the moral and social convictions that the thesis expresses in religious form are related in illuminating ways to the central ideas of Rawls’s later writings. His notions of sin, faith, and community are simultaneously moral and theological, and prefigure the moral outlook found in Theory of Justice.

This volume collects recent essays and reviews by Thomas Nagel in three subject areas. The first section, including the title essay, is concerned with religious belief and some of the philosophical questions connected with it, such as the relation between religion and evolutionary theory, the question of why there is something rather than nothing, and the significance for human life of our place in the cosmos. It includes a defense of the relevance of religion to science education. The second section concerns the interpretation of liberal political theory, especially in an international context. A substantial essay argues that the principles of distributive justice that apply within individual nation-states do not apply to the world as a whole. The third section discusses the distinctive contributions of four philosophers to our understanding of what it is to be human--the form of human consciousness and the source of human values.

John Rawls never published anything about his own religious beliefs, but after his death two texts were discovered which shed extraordinary light on the subject. A Brief Inquiry into the Meaning of Sin and Faith is Rawls's undergraduate senior thesis, submitted in December 1942, just before he entered the army. At that time Rawls was deeply religious; the thesis is a significant work of theological ethics, of interest both in itself and because of its relation to his mature writings. “On My Religion,” a short statement drafted in 1997, describes the history of his religious beliefs and attitudes toward religion, including his abandonment of orthodoxy during World War II.

The present volume includes these two texts, together with an Introduction by Joshua Cohen and Thomas Nagel, which discusses their relation to Rawls's published work, and an essay by Robert Merrihew Adams, which places the thesis in its theological context.

The texts display the profound engagement with religion that forms the background of Rawls's later views on the importance of separating religion and politics. Moreover, the moral and social convictions that the thesis expresses in religious form are related in illuminating ways to the central ideas of Rawls's later writings. His notions of sin, faith, and community are simultaneously moral and theological, and prefigure the moral outlook found in Theory of Justice.

L'impresa di dare forma a un ideale comprensibile di giustizia globale è strettamente connessa a due questioni cruciali: la relazione fra giustizia e sovranità e l'ampiezza e i limiti dell'eguaglianza, intesa come una naturale richiesta di giustizia. Se guardiamo allo sviluppo storico delle concezioni di giustizia e di legittimità dello Stato-nazione, sembra che di solito la sovranità abbia preceduto la legittimità e mai -come sarebbe più ovvio aspettarsi - viceversa. Persino nel caso più famoso di creazione di una federazione democratica, l'illegittimità precedette la legittimità: la fondazione degli Stati Uniti dipese dalla tutela della schiavitù, senza la quale non si sarebbe mai raggiunta l'unanimità fra le tredici ex-colonie. Regimi ingiusti e palesemente illegittimi costituiscono insomma i precursori necessari del progresso verso la legittimità e la democrazia, perché creano il potere centralizzato che si può a quel punto contestare, e forse volgere in altre direzioni senza distruggerlo. 'È improbabile che assisteremo alla diffusione di una giustizia globale nel lungo periodo, a meno di non creare prima istituzioni sovranazionali forti che non mirano alla giustizia, ma perseguono piuttosto interessi comuni e riflettono le diseguaglianze nel potere di contrattazione fra gli Stati ora esistenti.' Il punto è capire se tutto questo può essere fatto di comune accordo, e non con l'imposizione violenta.

Quest'opera vuol essere una risposta razionalistica al rifiuto dei soggetivisti di riconoscere l'oggettività della ragione, vale a dire il fatto che la ragione (se esiste) deve necessariamente riflettere principi effettivi la cui validità è indipendente dal punto di vista personale. E' la ragione così intesa a permetterci di elaborare una concezione del mondo in cui noi, le nostre impressioni e le nostre pratiche siamo contenuti, poiché essa non dipende dalla nostra prospettiva personale.

Ethical concepts are, or purport to be, normative. They make claims on us: they command, oblige, recommend, or guide. But where does their authority over us come from? Christine Korsgaard identifies and examines four accounts of the source of normativity that have been advocated by modern moral philosophers--voluntarism, realism, reflective endorsement, and the appeal to autonomy--and shows how Kant's autonomy-based account emerges as a synthesis of the other three. Her discussion is followed by commentary from G.A. Cohen, Raymond Geuss, Thomas Nagel, and Bernard Williams, and a reply by Korsgaard.

Derived from Thomas Nagel's Locke Lectures, Equality and Partiality proposes a nonutopian account of political legitimacy, based on the need to accommodate both personal and impersonal motives in any credible moral theory, and therefore in any political theory with a moral foundation. Within each individual, Nagel believes, there is a division between two standpoints, the personal and the impersonal. Without the impersonal standpoint, there would be no morality, only the clash, compromise, and occasional convergence of individual perspectives. It is because a human being does not occupy only his own point of view that each of us is susceptible to the claims of others through private and public morality. Political systems, to be legitimate, must achieve an integration of these two standpoints within the individual. These ideas are applied to specific problems such as social and economic inequality, toleration, international justice, and the public support of culture. Nagel points to the problem of balancing equality and partiality as the most important issue with which political theorists are now faced.

Should the hard questions of philosophy matter to ordinary people? In this down-to-earth, nonhistorical guide, Thomas Nagel, the distinguished author of Mortal Questions and The View From Nowhere, brings philosophical problems to life, revealing in vivid, accessible prose why they have continued to fascinate and baffle thinkers across the centuries.
Arguing that the best way to learn about philosophy is to tackle its problems head-on, Nagel turns to some of the most important questions we can ask about ourselves. Do we really have free will? Why should we be moral? What is the relation between our minds and our brains? Is there life after death? How should we feel about death? In a universe so vast, billions of light years across, can anything we do with our lives really matter? And does it matter if it doesn't matter? These are perennial questions we ask about the human condition, and Nagel probes them, and others like them, thoughtfully, clearly, and with humor. He states his own opinions freely but with refreshing modesty, always leaving it open to readers to entertain other solutions, encouraging them to think for themselves.
Nagel is eminently qualified to introduce the uninitiated to the world of philosophical inquiry. Singled out by the Chicago Literary Review as 'one of the sharpest analytic philosophers in America today,' he has been praised in the New York Times Book Review for writing 'sensitively and elegantly' and in the Times Literary Supplement for his ability, rare among philosophers, to combine 'profundity with clarity and simplicity of expression.'
Never rarefied, What Does It All Mean? opens our eyes to a side of the world we rarely consider, demonstrating that philosophy is no empty study but an indispensable key to understanding our lives. It challenges us to think hard and clearly, to ask questions, to try out ideas and raise possible objections to them--in short, to become philosophers ourselves.