Protagonista principale di questa vicenda non è un essere umano, ma più banalmente è un ritratto di donna di autore anonimo rinvenuto in un castello. Coprotagonisti sono persone comuni ma ricche di debolezze, difetti, capacità di custodire i segreti, cattiveria, a volte e tanta, tanta dignità. Nell'intreccio, sovente complesso e delicato della vicenda pochi vincono, molti perdono, nessuno è definitivamente sconfitto perché per tutti c'è un'altra possibilità, ma sanno che non è gratis.Questo succede perché una comunità umana è tanto più forte quanto più grandi sono i suoi difetti, a patto che sappia riconoscerli e magari aggiustarli. Come nelle favole, nelle leggende o nelle bugie, anche questo romanzo è figlio di qualche verità. Piccole verità, spesso difficili da riconoscere, ma senza di esse la storia sarebbe uguale a tutte quelle infarcite di imperatori, re, capi di governo, dittatori e generali buoni soltanto a dichiarare le guerre per mandarci a morire i figli degli altri.

Aurelia era figlia di Eugenio Secci e di Immacolata Puddu, commercianti di stoffe. Giovanni era figlio di Efisio Sau e Maria Atzori, allevatori di pecore e possidenti. Nel 1931, quattordici anni lei e quindici lui, vengono costretti a un matrimonio riparatore, anche se da riparare non c'era niente. Nel giro di quattro anni, dal loro matrimonio nascono tre figli: Sebastiano, 1932, Domenico, 1934 e Bruna, 1935. In modi e tempi diversi, Aurelia e i tre figli inaugurano la stagione della disobbedienza al padre padrone: Aurelia, sua moglie, rifiuta il ruolo di vedova bianca di un marito fuggito. Bruna si rifiuta di sposare il possidente che suo padre aveva scelto per lei. Domenico non vuole saperne di diventare prete e sceglie la carriera da insegnante. Sebastiano, causa il carattere violento di suo padre, non vuole avere contatti con lui