'La poesia fa vivere intimità intellettuali e può parlare e dialogare per vincere la solitudine umana e culturale propria dei nostri tempi. Scritture riprese da antichi quaderni con la foderina nera, ripercorrono la vita di Pina De Felice, scritture per vivere, per resistere, ma che gli anni avevano trasformato nel trionfo bambino della vita, nella carezza dei piccoli gesti, nella quotidianità di un messaggio, per dare inizio a un cammino nuovo. Sensazioni bambine, legami affettivi, odori e ricordi di guerra, il mare, la ricerca di Dio, la vecchiezza come universo che impone il silenzio, passato e presente che si scoprono e cercano la loro continuità. L'Autrice sceglie il mare come porta d'ingresso nella vastità dei sentimenti, nel modo di sentire la vita. Entrare dal mare è imboccare quella strada che apre dapprima gli orizzonti di vita e poi li allarga, facendo cogliere le piccole cose fino a sentire il profumo di Dio come essenza vitale, ma anche come vastità e quindi libertà interiore nonché apprezzamento del sublime.'

Chi si chiedesse perché Pina De Felice, autrice di parecchie raccolte di poesie in lingua italiana, abbia questa volta scelto di scrivere in dialetto, troverà una risposta immediata nella dedica ai giovani calabresi e più specificamente a quelli di Palmi, 'perché imparino ad amare il dialetto'. Pina De Felice ci offre in questa silloge testi di impianto narrativo e di tono lirico, sfruttando al meglio la duttilità del medium linguistico scelto, per lei lingua dell'infanzia e del mondo familiare: 'La lingua chi parrava eu / era comu li vrazza di me' patri' (Gridaru cu' lu tempu ddhi paroli). Francesca Neri