A major survey including new and celebrated works by Turner Prize–winning artist Chris Ofili. Set to accompany the first major museum show in the United States of contemporary British artist Chris Ofili, this richly illustrated volume surveys two decades of artworks that meld figuration, abstraction, and decoration to yield hybrid juxtapositions of high and low culture. Best known for intricately constructed works featuring beadlike dots of paint, elephant dung, and images culled from popular media, Ofili’s unique lexicon combines African culture, Western art history, and hip-hop music, spanning a wide variety of sources which include the Bible, Zimbabwean cave paintings, Blaxploitation films, and William Blake’s poems. Animated by exotic characters, outlandish landscapes, and folkloric myths, Ofili’s most recent work resonates with references to the paintings of Henri Matisse and Paul Gauguin. This compelling new book offers a fresh perspective on the artist’s vital practice, which both celebrates and calls into question the power of images and their ability to address fundamental questions of representation.

An overview of the state of contemporary art and its ultimate trends. The Encyclopedic Palace is the title chosen by the director for the 55th International Art Exhibition of the Venice Biennale. It evokes the design registered in 1955 with the US Patent office by the self-taught artist Marino Auriti, depicting an imaginary museum that was meant to house all worldly knowledge, bringing together the greatest discoveries of the human race, from the wheel to the satellite. Auriti’s plan was never carried out, but the dream of a universal, all-embracing knowledge crops up throughout history, shared by other eccentrics (among them artists, writers, scientists, and prophets) who tried to fashion an image of the world that would capture its infinite variety and richness. Today, as we grapple with a flood of information, such attempts to structure knowledge into all-inclusive systems seem even more necessary and even more desperate. The aim of the 55th International Art Exhibition is to explore these flights of the imagination in a show that—like Auriti’s Encyclopedic Palace—combines works of contemporary art with historical artifacts and found objects.

A sweeping survey on an evergreen subject—the relationship between man and machines. Featuring more than sixty international artists, this volume surveys the constantly shifting relationships between humans, machines, and art. The book spans more than fifty years of history, tracing various movements’ and artists’ engagement with machines—both low- and high-tech—across generations. The exhibition and accompanying catalogue present a transhistorical reassessment of optical, kinetic, and technological art, bringing together a wide range of work from—among others—Bridget Riley, Hans Haacke, Gianni Colombo, Channa Horowitz, Heinz Mack, Otto Piene, Stan VanDerBeek, and Victor Vasarely. Truly diverse in its scope, the show investigates the ways in which outsider artists, writers, and other cult figures have illustrated the symbiosis between man and machine, including documents and artifacts by J. G. Ballard, Emery Blagdon, Franz Kafka, Marshall McLuhan, Emma Kunz, and Edoardo Paolozzi. A highlight of the exhibition is a reconstruction of Richard Hamilton’s seminal 1955 installation Man Machine Motion. Constructed as a collage of essays, interviews, and manifestos, this publication archives an impressive range of thinking about artists’ fascination with technology.

Il volume viene pubblicato in appoggio alla mostra a Ca' Pesaro a Venezia in occasione della Biennale 2011. 'Pier Paolo Calzolari - dice Denys Zacharopoulos nel suo saggio - è una delle personalità artistiche più interessanti della sua generazione. Ha cominciato la sua brillante carriera come pittore a metà degli anni Sessanta, tra Bologna, Venezia e Roma, a contatto con l'attività di artisti quali Tancredi, Bendini e Turcato. I suoi primi lavori seguono le linee di un disegno libero e poetico, che si espande in modo irregolare in una suggestiva e misteriosa atmosfera di interiorità e astrazione. La definizione dello spazio pittorico determina collisioni inattese di dettagli, tracce, accidenti e ritmi di presenza, dentro una obliqua, latente condizione geometrica. Fin dagli esordi, i suoi quadri eccedono la bidimensionalità della tela per penetrare lo spazio oltre la superficie pittorica dell'oggetto raffigurato. La sua visione poetica è fortemente evocativa, la scrittura nervosa. Il lavoro di Calzolari raduna una varietà di tracce e intensità esistenziali eterogenee in uno spazio frammentario e complesso'.

Il volume viene pubblicato in appoggio alla mostra a Ca' Pesaro a Venezia in occasione della Biennale 2011. 'Pier Paolo Calzolari - dice Denys Zacharopoulos nel suo saggio - è una delle personalità artistiche più interessanti della sua generazione. Ha cominciato la sua brillante carriera come pittore a metà degli anni Sessanta, tra Bologna, Venezia e Roma, a contatto con l'attività di artisti quali Tancredi, Bendini e Turcato. I suoi primi lavori seguono le linee di un disegno libero e poetico, che si espande in modo irregolare in una suggestiva e misteriosa atmosfera di interiorità e astrazione. La definizione dello spazio pittorico determina collisioni inattese di dettagli, tracce, accidenti e ritmi di presenza, dentro una obliqua, latente condizione geometrica. Fin dagli esordi, i suoi quadri eccedono la bidimensionalità della tela per penetrare lo spazio oltre la superficie pittorica dell'oggetto raffigurato. La sua visione poetica è fortemente evocativa, la scrittura nervosa. Il lavoro di Calzolari raduna una varietà di tracce e intensità esistenziali eterogenee in uno spazio frammentario e complesso'.

'La mia vita si balla su una musica degli anni '80, su scale di atomi e vertigini d'autore. Al cardiplama blu.' (L'autore).

Consacrato dal 'New York Times' come 'il più importante artista americano della sua generazione', Matthew Barney (1967, California) sperimenta tutti i linguaggi della contemporaneità: dalle installazioni al film, dalla scultura alla video art, la sua opera si configura come una peregrinazione, il racconto di gesta d'eroi intrappolati in complicati percorsi a ostacoli, costretti a continue fughe e digressioni. Seguendo queste peripezie, gli spettatori si ritrovano nei meandri di mondi immaginari governati da leggi misteriose, nati dalla combinazione di miti celtici e leggende sportive, manuali di medicina e trattati di sessuologia, deliri autobiografici e cosmologie di universi sospesi tra occultismo e melodramma. Matthew Barney è il più allucinato cantore di quella trasformazione antropologica che negli ultimi decenni ha tramutato le nostre vite in spazi colonizzati da tecnologie portatili e microscopiche, in un mondo ormai governato da un'integrazione sempre più promiscua tra reale e artificiale, tra biologico e meccanico. Ricollegandosi al linguaggio della performance anni sessanta, in cui artisti come Vito Acconci, Marina Abramovic, Bruce Nauman, Chris Burden o Joseph Beuys davano forma a strani rituali spingendo il proprio corpo all'estremo, Matthew Barney innesta la tradizione dell'arte contemporanea su un filone nuovo, nel quale confluiscono l'estetica patinata dello sport e la fotografia delle riviste di moda, il tutto immerso in un'atmosfera carica di una sessualità morbosa.