Pinocchio (moviole) 1995-98
Book (italiano):
«Difendiamo e sosteniamo il nostro essere-pinocchio»: con queste parole, all'alba del nostro secolo (o al tramonto del suo, piuttosto), salutava Francesco Leonetti l'apparire di Pinocchio (moviole). Se l'universalità d'un autore, a prescindere dalla sua opera, si misura dalla caduta in aggettivo della sua anagrafe (basti pensare a «kafkiano»), in quella formula la pinocchità assurgeva a categoria dello spirito, al di là non solo dell'opera ma persino del suo autore. E infatti nell'immaginario, dice Giancarlo Alfano, quello di Pinocchio è «modello» antropologico, prima che narrativo, «paradigmatico dal punto di vista della psicologia, esemplare». La formidabile fortuna della favola, sempre riscritta, si deve al principio-metamorfosi che le è intrinseco. Testualmente «uno e bino», Pinocchio è altresì nessuno e centomila: e allora il destino dell'essere-pinocchio, in potenza, quello di tutti noi «pinocchi e pinocchie» (istiga alla ribellione la sua immagine-movimento, a un irresistibile divenire-pinocchi). Con la sottigliezza virtuosa che gli è propria, Bàino sottopone questa dromomania a détours au ralenti, per scoprire che suo «tema profondo» non è che «la corsa verso la morte». Per sottrarsi a un «mondo» che «non cambia mai», e forse appunto «nasce morto», è all'autodistruzione che Pinocchio si scapicolla. Forse proprio per dribblare questo doppio legame Collodi ideò la sua postrema metamorfosi, per tanti lettori desultoria se non traumatica, in «ragazzino perbene». Ma il «neocollodico» del tempo di dopo si sottrae a quest'ambigua salvazione e, come l'altro suo avatar Robin
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