Amori miei
Book (italiano):
«Per chi conosce la poetica di Franco Piol - così come il suo stile, il suo linguaggio, gli ideali che trasudano dalle sue opere - parrà audace, azzardato e quasi "osceno" qualsivoglia accostamento tra l'autore del libro che state tenendo in mano e il Vate, Gabriele d'Annunzio. Cosa c'entrano i versi altisonanti e tronfi del pescarese con quelli leggiadri e umili dell'autore romano? Com'è possibile mettere a paragone l'universo valoriale del fonosimbolista (fatto di sapori decadenti, ricercatezza estrema e algida aristocraticità) con quello di Piol (sempre dalla parte degli ultimi e intento a celebrare le piccole cose)? Sembrerebbe impossibile, è vero. Eppure - non me ne voglia l'autore di Amori miei -, c'è un aspetto che, a mio avviso, balza prepotentemente all'attenzione leggendo questa sua ultima silloge di poesie e che fa tornare alla mente, senza via di fuga, uno dei più conosciuti tratti delle liriche di d'Annunzio: il panismo. No, siamo lontani dalla megalomane trasformazione in natura (o, meglio, Natura, con la "n" maiuscola) che il Vate opera proprio ne La pioggia del pineto, ovvero quella vera e propria metamorfosi della carne (tanto dileggiata da Pirandello in una delle sue composizioni più riuscite, Meriggio) che porta l'abruzzese a far entrare il resto del creato dentro di sé, e a diventare creato egli stesso; e, ancora, siamo distanti anni luce dall' Übermensch, dal Superuomo che nasce da una tale fusione tra umano e ambiente circostante, di cui la critica ha tanto discusso negli ultimi 150 anni. Eppure, eppure... Eppure, credo di poter affermare con un certo
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